INNOVATORI DI VALORE. Leonardo Masotti, l’ingegnere con la passione per i laser
21/09/15
C’è un tratto comune quando si parla con un “innovatore” ed è un misto di entusiasmo e pragmaticità. Due caratteristiche che ben descrivono Leonardo Masotti, professore universitario di elettronica, imprenditore ambizioso, ricercatore da una vita. Fiorentino di adozione, Masotti fonda El. En. nel 1981 insieme all’allievo Gabriele Clementi, oggi presidente, e alla moglie Barbara, dopo essere stato letteralmente “folgorato” dalla passione per il laser e le sue sorprendenti applicazioni. Noi lo abbiamo definito un “innovatore di valore”, giocando sulla doppia accezione del termine, riferito sia al risultato dell’innovazione - nel suo caso scientifica e imprenditoriale – sia al valore umano e professionale di chi ne è l’artefice. Oggi El. En. non sarebbe la capofila di un gruppo di aziende leader nello sviluppo e produzione di sistemi laser per la medicina, l’industria e la conservazione del patrimonio storico artistico se Masotti non avesse scelto di tentare la strada di quello che, sulla carta, si chiama trasferimento tecnologico.
Se El.En. fosse nata oggi la chiamerebbero startupper. Erano gli anni Ottanta, lei era già professore universitario di elettronica, l’utilizzo della tecnologia laser in medicina era agli inizi. Cosa l’ha spinta a creare un’impresa?
“Da docente di ingegneria, nella mia forma mentis era ben connaturato un concetto: se faccio ricerca voglio arrivare a produrre un risultato concreto e vedere qual è la risposta del mercato. Quando parlo ai giovani cerco sempre di fargli capire che c’è una parte economica da tenere presente, un prodotto che si vende, dei clienti che pagano, imprese che realizzano fatturato. Avevo l’ambizione di fare impresa e una passione per la tecnologia laser. Da lì sono partito”.
Dall’elettronica al laser, qual è stato il percorso?
“Appena laureato, ricordo di aver letto un articolo sui primi dispostivi laser pubblicato sulla rivista Selezione dal Reader's Digest. Da quell’articolo scoprii che anche in Italia c’era qualcuno che stava iniziando a lavorare sui laser, al Centro di fisica delle microonde del CNR di Firenze, diretto dal Professor Nello Carrara. Andai da lui, mi offri una borsa di studio e un progetto sui radar. L’occasione per lavorare sui laser arrivò presto. Mentre facevo ricerca al CNR, fui contattato dalla Valsivre, impresa di proprietà della Magneti Marelli specializzata in valvole radio elettriche, che mi coinvolse in un progetto finalizzato per un primo sviluppo di laser in medicina, oltre che per l’industria. Fu allora che realizzai il mio primo dispositivo laser e lo feci subito applicare da mio suocero, che faceva il chirurgo in Romagna, al posto del bisturi. Vederne l’utilizzo sui pazienti, al posto delle tecniche tradizionali, fu una spinta enorme per andare avanti in quel settore, focalizzare la ricerca sulla tecnologia laser e aprire El. En., che sta per Electronic Engeneering”.
Oggi El. En. è una società quotata in Borsa e la vostra produzione, grazie alla versatilità del laser, spazia dalla medicina al restauro. Come potrebbe riassumere questa ascesa?
“La prima commessa l’abbiamo avuta da Esaote per lo sviluppo tecnologico delle immagini a ultrasuoni per i loro ecografi. Erano davvero i tempi d’oro per la ricerca, c’erano governi che potremmo definire illuminati e che hanno permesso ad aziende come El. En. ed Esaote di crescere rapidamente. All’inizio producevamo conto terzi e io mi dividevo tra l’insegnamento e la ricerca applicata: scoprivo che gli alimentatori di commutazione, di cui insegnavo il funzionamento ai miei studenti, erano adatti per alimentare i laser. Potremmo dire che l’elettronica e i laser, insieme, orientarono El. En. verso il campo medico, dove il laser stava dando risultati molto interessanti. Andando avanti con la ricerca scoprivamo quanto margine di libertà potesse offrirci questa straordinaria tecnologia: lunghezza d’onda, forma del fascio, tempo d’emissione degli impulsi consentono una versatilità e applicabilità enorme. Caratteristiche che ci hanno permesso di individuare tante soluzioni nel campo della medicina e hanno alimentato continuamente lo sviluppo dell’azienda, dai laser medicali utilizzati in dermatologia, chirurgia, estetica, odontoiatria, ginecologia e medicina dello sport fino ad arrivare al restauro conservativo di opere d’arte, dalla Villa dei Misteri di Pompei alla porta del Paradiso del Battistero di Firenze. La delicatezza e la fragilità di opere d’arte antiche di secoli è un po’ come quella dei tessuti. Tutto questo per dire che è stata la ricerca la chiave del nostro successo. Non sono molte le aziende che investono quote di fatturato superiori al 10% in ricerca e sviluppo”.
Operate sul mercato internazionale, ma il cuore e la testa del gruppo restano a Firenze. Dal suo punto di osservazione, cosa ne pensa del progetto “Toscana Pharma & Devices Valley”?
“Ci sono buoni presupposti perché la Toscana possa fare bene e lavorare come apripista su progetti dalle grandi potenzialità. Penso, per andare al concreto, al campo della medicina mini invasiva, che consente di intervenire localmente con importanti vantaggi, in primis sul paziente. Con Elesta, nata da una joint venture con Esaote, abbiamo sviluppato e prodotto laser ecoguidati per la riduzione dei noduli benigni della tiroide che permettono di intervenire rapidamente riducendo i sintomi senza lasciare cicatrici, con tempi di recupero brevi e senza necessità di ricovero. La Toscana, in questo settore, può giocarsela bene perché possiamo contare sull’eccellenza nei sistemi di imaging diagnostico a ultrasuoni e a raggi X con la tecnica Cone Beam, nella robotica, nei laser, nella produzione di farmaci sinergici a questo tipo di trattamenti mini invasivi che, non dimentichiamoci, possono portare a una notevole riduzione della spesa sanitaria. Se la Toscana scegliesse di specializzarsi nella mini invasività potremmo attrarre pazienti, con le loro famiglie; ricercatori da tutto il mondo, alzando il livello medio della ricerca; investimenti, perché andremmo a creare un circolo virtuoso verso il basso e verso l’alto”.
La sua intervista inaugura la nostra rubrica “Innovatori di valore”. Ci dia la sua definizione di innovazione
“Quando introduco sistemi, metodi, modelli, strumenti o dispostivi che permettono di trovare soluzioni concrete e originali a problemi reali o anche miglioramenti di soluzioni già presenti ma capaci di portare vantaggi misurabili, quella è innovazione. L’innovazione risponde a un bisogno, a volte questo bisogno è espresso, a volte è latente, ma quello che a mio avviso contraddistingue un’innovazione è la fattività, la possibilità di essere realizzata e applicata”.
Cosa consiglierebbe a un giovane che in questo momento sta pensando di creare una startup in Italia
“Torno a parlare di concretezza. Ho visto nascere tanti progetti senza avere alle spalle un serio studio di fattibilità. Non basta partire da un assunto valido se non è economicamente sostenibile, non ha un potenziale mercato, non è un progetto facile da realizzare o, per venire al mio settore, un dispositivo semplice da utilizzare. Non ci sono buone idee avulse dall’applicabilità. A un giovane consiglierei questo: verificare la solidità e la realizzabilità del proprio progetto e trovare un partenariato finanziario valido per la commercializzazione. Un bravo ricercatore deve essere anche un bravo realizzatore e un buon gestore, capace di rimettersi sempre in discussione. Serve una rotta precisa, ma anche una verifica del punto nave la più frequente e oggettiva possibile”.
Redazione Meet the Life Sciences
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