Se esiste un archetipo di cittadino globale Luca Escoffier ci si avvicina molto. Romano di nascita e giapponese di adozione ha studiato e lavorato in tutto il mondo: da Parma a Torino, passando per Seattle, San Francisco e Tokyo, dove attualmente vive e lavora. In questa costante dimensione di movimento, Luca rappresenta il punto di equilibrio e di contatto tra imprese alla ricerca di risposte e solver in grado di offrire delle soluzioni. L’innovazione è il suo pane quotidiano, che si declina ogni giorno nel campo del trasferimento tecnologico, delle partnership internazionali, del mondo delle startup, del crowdsourcing e di molto altro. In occasione del suo ultimo viaggio in Italia ha fatto tappa a Firenze per parlare di Open Innovation e di Innoventually all’evento organizzato dal Distretto Toscano Scienze della Vita. Abbiamo approfittato di questa occasione per incontrarlo e intervistarlo.
Aiutare i propri clienti a trovare soluzioni innovative è il campo di azione di Innoventually. Puoi dirci più nel dettaglio come operate, come avvicinate il cliente, come lavorate con lui?
Uno dei pilastri dell’Open Innovation, nel modello di Innoventually, è quello delle challenges. E’ attraverso le sfide che un ente o un’azienda decide di ottenere dall’esterno la soluzione a un proprio problema interno, consentendoci prima di tutto di comprendere quale sia il bisogno. Si parte dalla definizione del problema, dunque, che poi noi traduciamo nella richiesta di una tecnologia o di un progetto che porti alla sua soluzione. Come Innoventually interveniamo avanzando la richiesta alla nostra community, che la “digerisce” ed elabora delle risposte. Successivamente, chi è pronto a fornire una soluzione si fa avanti. Il cliente a questo punto può fare da solo, decidendo se utilizzare o meno noi come filtro. Da qui si capisce se c’è un vincitore della challenge, che avrà diritto a un premio, definito nella sua entità dal cliente. Questa è una semplificazione e solo una delle modalità con le quali operiamo, quindi invito tutti coloro che fossero interessati a dare una scorsa al nostro sito per saperne di più.
Quali sono gli elementi essenziali del modello di business su cui si fonda l’Open Innovation e quali difficoltà incontrate nel diffonderlo e farlo adottare dai clienti?
Gli ostacoli riguardano sia i fornitori di soluzioni sia quelli che le soluzioni le vanno a cercare. L’azienda deve capire che nel 2016, con due miliardi di persone connesse alla rete, è necessario aprirsi per vedere se ci sono delle soluzioni che possono provenire dall’esterno. Chi fa da sé, insomma, non fa più per tre. Essere convinti che questo cambiamento di atteggiamento sia necessario è molto importante. Soprattutto se il cliente è un’azienda, inoltre, è importante poi capire che questa apertura non vuol dire solo essere disposti ad accettare idee “che vengono da fuori”, ma è necessario diffondere il messaggio internamente. Tutti coloro che sono responsabili dello sviluppo di un prodotto o servizio devono essere convinti della bontà di questo approccio per renderlo veramente efficace. Parlando dei solvers, invece, è importante essere aperti nei confronti delle challenges, mettendosi anche in gioco con la consapevolezza che le risposte più valide possano anche arrivare da soggetti con un profilo apparentemente lontano dal contesto di riferimento.
Quali le opportunità di questo modello per i vari attori dell'innovazione, ricerca pubblica, start up, PMI e grandi imprese?
Il modello di cui stiamo parlando magari in un primo momento non è per tutti e una società come Innoventually esiste proprio per mettere in contatto gli attori fra di loro e per fungere da agente catalizzatore. Di fronte a una richiesta, la nostra idea è quella di far scatenare fantasia e ingegno di più soggetti per offrire una soluzione ad un problema apparentemente insoluto. Prova a immaginarvi uno spazio di quelli spesso presenti nelle scuole, pieno di mattoncini di lego con dieci bambini a ‘lavoro’ invece che uno. Il risultato sarà strabiliante. Qui l’idea è simile, noi creiamo uno spazio (in questo caso virtuale) per più soggetti che possono poi scatenarsi con la creatività e la conoscenza. In letteratura è assodato che coloro che sono all’esterno di una realtà riescono a essere molto più creativi, offrendo soluzioni che vanno a cogliere e potenzialmente risolvere con più immediatezza un problema o venire incontro a un bisogno. A volte non sono magari facilmente realizzabili, ma mediamente le soluzioni concepite dall’esterno sono più innovative di quelle sviluppate internamente da chi già conosce il prodotto e il mercato.
Tu sei Invited Researcher presso la Waseda University di Tokyo. Quali sono le principali differenze tra il nostro sistema universitario e quello giapponese sul fronte della valorizzazione della ricerca?
Potremo dedicare un capitolo a parte sulla materia, anzi un intero libro! Cosa che ho fatto in parte nel 2015, scrivendo un report per l’EU-Japan Centre for Industrial Cooperation a Tokyo in cui ho svolto una comparazione tra tutte le top universities e centri di ricerca giapponesi, spiegando come sia gestita in generale la proprietà intellettuale generata dai ricercatori e offrendo un quadro relativo alla performance in termini di monetizzazione della proprietà intellettuale di tali enti. Il modello giapponese è molto interessante e variegato, merita veramente dare una letta al report se si è interessati alla materia (Qui trovate il report, ndr).
EU-Japan Technology Transfer Helpdesk è stato appena lanciato. Puoi spiegarci come funziona e quali sono gli obiettivi attesi?
È un’iniziativa dell’EU-Japan Centre for Industrial Cooperation che, come dicevo, ha sede principale a Tokyo. Il Centro è il frutto di una joint venture tra il governo giapponese e la Commissione europea. Tra i vari servizi che il Centro già offre a favore delle piccole e medie imprese, le università e i centri di ricerca abbiamo ritenuto necessario introdurre una parte dedicata al trasferimento tecnologico che creasse un contatto più diretto e profondo con gli stakeholders. All’inizio doveva essere un database che avrebbe dovuto mostrare le tecnologie giapponesi prevalentemente a favore delle PMI europee, poi abbiamo deciso di sviluppare anche il lato opposto, permettendo così anche alle università e ai centri di ricerca europei di essere attrattivi non solo in Europa, ma anche in Giappone. Il lavoro, quindi, si è più che raddoppiato come potete immaginare. Tre i pilastri di riferimento del nuovo Helpdesk: tech showcase, events e library. La sfida è quella di creare una community internazionale che abbia come riferimento il nostro database per trovare tecnologie promettenti con un contatto diretto, oltre alla possibilità di trovare sempre informazioni accurate e materiali concernenti il trasferimento tecnologico con un focus sull’Europa e Giappone.
Tu vivi e lavori in Giappone. Quali sono le barriere all'ingresso principali per un'azienda del settore delle scienze della vita che voglia entrare nel mercato nipponico?
Sicuramente la lingua rimane in assoluto il problema più importante. L’inglese è sì utilizzato, ma non abbastanza. Le barriere legate alla lingua sono sicuramente il primo ostacolo, soprattutto se si vuole avere una sede fisica con tutto quello che ne consegue.
Startup: quali pensi siano le strade percorribili nel nostro Paese perché siano più competitive, non solo sul mercato nazionale ma a livello globale?
Lascia un commento