Italray ai raggi X
01/09/17
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Viaggio alla scoperta dell’azienda fiorentina che, da Scandicci, ha portato i suoi prodotti ad alta tecnologia in tutto il mondo. Anche in Estremo Oriente. Abbiamo intervistato l'ingegner Stefano Baldini, direttore R&D e Produzione di Italray
In Toscana Italray non ha concorrenti e, in Italia, è una delle pochissime aziende che opera nel settore della diagnostica per immagini al servizio della radiologia. Dalla sede di Scandicci, nell’area metropolitana di Firenze, Italray esporta i suoi prodotti ad alta tecnologia a raggi X in tutto il mondo: apparecchi per radiografia, mammografia, fluoroscopia. Con l’ingegner Stefano Baldini, direttore di R&D e Produzione di Italray, entriamo nella vita e nelle dinamiche dell’azienda fiorentina che sta conquistando nuove fette di mercato anche in Estremo Oriente.
Ingegner Baldini, com’è nata Italray?
“Dall’idea di una persona, il padre dell’attuale General Manager, un pioniere esperto nel campo della radiologia medica. Poco alla volta siamo riusciti a diventare, nel nostro settore, concorrenti delle grandi multinazionali del settore: Philips, Siemens, GE”.
Progettazione e produzione sono concentrate a Scandicci oppure dislocate in altre sedi?
“Tutto avviene nello stabilimento di Scandicci: qui progettiamo i diversi ‘medical devices’ al fine di realizzare i nostri sistemi per la radiologia medica, nella grande maggioranza dei casi il nostro prodotto è la soluzione completa, cioè l’intera sala radiologica. Siamo circa 40 persone: una decina di addetti allo sviluppo di cui 3 ingegneri del software. Ci occupiamo anche dell’installazione diretta e seguiamo, per manutenzione e post vendita, i nostri clienti, che sono ospedali e cliniche private. Infine, organizziamo corsi di formazione per i clienti che acquistano i nostri macchinari”.
Anche i test vengono eseguiti a Firenze?
“Il test di validazione è una fase critica. Non esistendo un iter istituzionalizzato in Toscana e in Italia per questo tipo di attività, il test avviene, si a Firenze, ma su fantocci che simulano il comportamento del corpo umano. Naturalmente ciò è molto limitante. Sarebbe bello poter avere, con l’aiuto della Regione Toscana, dei siti dedicati allo scopo”.
Sul fronte dei rapporti con i clienti pubblici, il sistema di produzione e consegna è snello oppure incontrate difficoltà?
“Purtroppo spesso ci sono dei freni logistici o burocratici che rallentano l’iter e impediscono di rispettare i tempi di consegna previsti dal contratto. Per esempio, ogni volta che riceviamo un ordine, anche se noi avviamo subito la produzione, è possibile il distretto sanitario non sia pronto a ricevere la merce per mancato approntamento dei locali dove dovrà essere installato il sistema. All’estero poi le criticità comprendono anche la gestione dei pagamenti che naturalmente è complessa".
La vostra è un’azienda solida, quali sono le fonti di finanziamento?
“Il nostro fatturato. In qualche caso abbiamo partecipato anche ai bandi della Regione. Di recente abbiamo sfruttato i fondi per l’internazionalizzazione sul mercato estero”.
Siete presenti in cinquanta paesi ...
“Qualche anno fa il nostro mercato principale era la Russia. In cinque-sei anni, però, abbiamo registrato un calo delle vendite in quell’area geografica che ha visto le vendite ridursi al lumicino; così abbiamo provato ad espanderci verso Centro America, Asia, Cina, Malesia e Indonesia. Tuttora cerchiamo di aprire sempre nuovi mercati”.
E in Italia?
“In Toscana siamo gli unici a lavorare sui RX e nel Sud Italia non abbiamo praticamente concorrenti. La situazione è diversa, invece, nell’area di Milano. Solo qui si concentrano almeno cinque aziende strutturate. Comunque siamo veramente pochi a lavorare in questo settore”.
I macchinari che producete sono frutto di ricerca costante, c’è un settore specifico che si occupa di questo?
“Abbiamo il dipartimento R&D, composto da una decina di persone più ci avvaliamo di consulenti che lavorano con noi da anni. In passato per un bando regionale abbiamo collaborato con l’Università di Firenze, principalmente nel campo della meccanica. Di recente, abbiamo partecipato al programma ACTPHAST perché volevamo sviluppare un algoritmo, e dunque un software, per analisi di immagini radiografiche (2D) che desse risultati alternativi alle scansioni TAC (3D). La nostra idea era quella di mettere a punto e velocizzare il processo di acquisizione-analisi e ricostruzione del volume 3D. Grazie a quel progetto, è stato trovato personale altamente qualificato all’Università di Varsavia che, grazie al programma, ha ricevuto finanziamenti per lavorare per noi e con noi sul nostro progetto”.
Per l’alta tecnologia dei suoi prodotti, Italray può dirsi pronta per il passaggio alla cosiddetta I40, l’industria del futuro?
“Noi non possiamo sfruttare I40 se non marginalmente, perché il nostro processo produttivo non può essere sostanzialmente digitalizzato”.
Per quale ragione?
“Perché, se I40 significa integrazione delle macchine anche all’interno dell’azienda, per il nostro tipo di sistema produttivo non è rilevante. Il nostro problema, piuttosto, è un altro, l’estrema difficoltà nella programmazione della produzione dovuta a incontrollabili variabili esterne ci causa problemi produttivi diretti e si ripercuote anche sui nostri fornitori che spesso non riescono a stare la passo desiderato”.
Riuscite a produrre macchinari per raggi X standard oppure su misura per i clienti?
“Principalmente realizziamo sistemi con componenti standard. Solitamente riforniamo il magazzino con delle configurazioni di apparecchi abbastanza standard e poi le componiamo e personalizziamo, non tanto l’apparecchio, quanto la configurazione della sala a seconda delle esigenze dei clienti. Solitamente, per la produzione, ci affidiamo a delle previsioni di mercato e produciamo ciò che serve appunto in via previsionale. Solo nel caso di grossi tender avviamo una produzione specifica. Spesso il miglioramento delle performance di un sistema o la sua aumentata usabilità derivano dal lavoro che facciamo assieme alla struttura sanitaria che lo sta usando”.
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