Cyberlegs, ecco le gambe robotiche che salvano dalle cadute
03/11/17
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Intervista a Vito Monaco, bioingegnere dell'Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant'Anna che sta lavorando a un progetto di ricerca legato alle cadute e agli inciampi.
Un anziano su tre, sano e oltre i 65 anni, cade una volta all'anno con conseguenze per la sua salute e per i conti del sistema sanitario nazionale. All'Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant'Anna stanno studiando come trovare la soluzione a questo e ad altri problemi legati a cadute e inciampi. Abbiamo intervistato Vito Monaco, bioingegnere che lavora al progetto.
Medici, meccanici, elettronici; specializzati in settori diversi sono uniti dallo stesso prefisso: bio, che in greco significa vita. Sono gli ingegneri della vita e ogni giorno, nei laboratori dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, creano, calcolano, progettano e sperimentano strumenti per migliorare la qualità della vita delle persone e trovare, attraverso la robotica, soluzioni per combattere la disabilità. Un esempio? Cyberlegs, cioè gambe cibernetiche, protesi e ortesi in grado di restituire agli amputati transfemorali autonomia di movimento e sicurezza. Delle cyber-gambe esiste già un prototipo che, ora in attesa di ottenere tutte le certificazioni ministeriali, ha già attirato l’attenzione di grosse industrie dell’healthcare. Lavora al progetto il bio-ingegnere Vito Monaco. Un 40enne lucano, allievo del professor Silvestro Micera, che nella sede di Pontedera dell’Istituto di Biorobotica studia possibili strategie per favorire il recupero dell’equilibrio a seguito di uno scivolamento o di un inciampo.
Dottor Monaco, del progetto Cyberlegs esiste uno stadio “plus plus” in cui siete attualmente impegnati. Di cosa si tratta?
“È un progetto innovativo approvato dalla Commissione Europea nell’ambito di Horizon 2020. L’Istituto di Biorobotica fa parte di un consorzio di sette partner europei fra università, cliniche, industrie della robotica e dell’healthcare. È partito all’inizio di quest’anno e durerà quattro anni con l’obiettivo di portare sul mercato nuove protesi ed ortesi robotiche per persone fragili e per amputati”.
Qual è la differenza fra le comuni protesi e quelle robotiche?
“Le prime sono passive, non hanno alcuna intelligenza, non dialogano con chi le indossa. Le protesi robotiche, invece, si può dire che collaborino con chi le indossa perché sono dotate della capacità di prevedere una serie di situazioni e di trovare una soluzione. Per esempio evitare una caduta”.
E questo come avviene?
“Attraverso il nostro lavoro di ricerca. Nello specifico, io mi occupo di cadute e inciampi e, insieme ad altri colleghi, abbiamo sviluppato una macchina in grado di simulare uno scivolamento durante il cammino. Questa piattaforma rappresenta il nostro principale strumento di lavoro, mediante il quale possiamo osservare, in tutta sicurezza, il comportamento delle persone quando perdono l’equilibrio a causa dalla classica buccia di banana. Grazie all’aiuto di volontari, soggetti sani e amputati, che partecipano alle nostre ricerche, raccolgo dati relativi al loro movimento che trasformo in modelli matematici al fine di predire l’incipiente caduta e, possibilmente, evitarla”.
E poi cosa succede?
“Sappiamo che, a seguito di uno scivolamento, abbiamo circa un secondo di tempo per identificare il pericolo e somministrare un aiuto, prima che il soggetto tocchi rovinosamente il pavimento. Riprodotta in laboratorio la situazione reale dello scivolamento, siamo riusciti a sviluppare una strategia capace di riconoscere il rischio di caduta e di favorire il recupero dell’equilibrio mediante l’utilizzo di un esoscheletro robotico di pelvi che agisce al livello delle anche”.
Rilevanza e ricadute di questo progetto?
“Direi elevatissime. Basti pensare che un anziano su 3, sano e oltre i 65 anni, cade una volta all’anno e costa fra i 10 e i 15mila euro al sistema sanitario. Se poi si aggiunge il dato purtroppo preoccupante che dà la popolazione anziana in aumento, è logico pensare che, con diretta proporzione, aumenteranno cadute e costi. La caduta, fra l’altro, può provocare uno shock per il dolore, spesso avviene in casa, a gente che vive sola e che, nella peggiore delle ipotesi, muore perché nessuno è intervenuto tempestivamente”.
Le protesi robotiche aiuterebbero a risolvere un problema sociale?
“In buona sostanza sì. Per aiutare gli anziani a prevenire le cadute sono fioriti corsi di Tai-chi o con esercizi funzionali all’equilibrio. È chiaro che tutto questo non è sufficiente, perché la caduta è nella maggior parte dei casi accidentale e fuori controllo. Se invece si è dotati di un dispositivo come quello che stiamo realizzando, intelligente e accettabile nella gestione della vita quotidiana, il problema potrebbe essere risolto, o quantomeno mitigato”.
Oltre che per gli anziani, sono un grosso aiuto per gli amputati...
“Nascono difatti per questo tipo di persone che non sono poche. Ricordiamo, fra l’altro, che fra le cause di amputazione, il 70% è legato a problemi vascolari, e in larga parte al diabete”.
A che punto è la biorobotica rispetto alle sue potenzialità?
“Diciamo che siamo come nel 1800, quando fu inventato il motore a scoppio. Le applicazioni, nel campo delle scienze della vita, sono potenzialmente infinite e, a differenza di Barsanti e Matteucci (inventori del motore a scoppio, ndr), possiamo contare su tecnologie molto più avanzate. Nello specifico di protesi e ortesi robotiche, siamo forse un passo avanti considerando che diverse aziende hanno già nel loro portfolio diversi dispositivi robotici indossabili. Detto questo, occorre fare molto lavoro per superare gli attuali limiti e rendere queste tecnologie davvero disponibili a tutti”.
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