ABzero, la start up pisana è pronta al decollo
08/06/18
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Intervista a Giuseppe Tortora uno dei fondatori della startup nata per sviluppare dispositivi medici innovativi
Da tempo era pronta al decollo e nei giorni scorsi l’idea della startup pisana ABzero ha preso il volo. Letteralmente. ABzero è una creatura di Andrea Cannas e Giuseppe Tortora, nata per sviluppare dispositivi medici innovativi e offrire un sistema di trasporto di sangue, emoderivati e organi attraverso droni. L’obiettivo? Ridurre i tempi di trasporto nella catena del soccorso e della cura, con la conseguente riduzione dei costi per la sanità. Ma non solo. Come ci ha detto Giuseppe Tortora, che abbiamo intervistato: “La sfida è anche quella di introdurre un elemento di innovazione in un settore molto importante della società, come è quello sanitario, anche in situazioni di emergenza. E avvicinare sempre più la ricerca al mercato”.
Partiamo dall’inizio, come e quando nasce l’idea di ABzero.
Il team è costituito da Andrea Cannas, architetto ed esperto in sistemi di progettazione e controllo e da me, che sono un ingegnere biomedico, dottorato in robotica presso la Scuola Superiore Sant’Anna, e poi ho maturato, in Italia e all’estero, un’esperienza manageriale. ABzero nasce come spin off della Scuola Superiore Sant’Anna, da un’intuizione di Andrea, che me la propose già tempo fa. Quasi per caso. L’idea è molto semplice, trasportare sangue, emoderivati, medicinali e attrezzature tra strutture sanitarie attraverso l’utilizzo dei droni. Un servizio utilizzabile 24 ore su 24, sette giorni su sette.
Spiegaci come funziona il drone.
Il drone è completamente automatizzato in tutte le sue fasi di azione, dal decollo, alla percorrenza fino all’atterraggio. Operazioni che possono essere controllati da una app. Da questo punto di vista siamo veramente un’avanguardia, a livello nazionale e internazionale. Possiamo gestire la fase di volo, i dati sul materiale, comunicando costantemente con la sala di controllo. Il bene che trasportiamo è conservato senza alcun rischio in una capsula intelligente che ne protegge la qualità ed è il core della nostra tecnologia. Tutto il sistema ruota su un software che è molto semplice e può essere utilizzato dallo staff medico.
Qual è il livello di sicurezza del dispositivo per la componente umana?
Praticamente totale. I droni sono intrinsecamente sicuri. Il drone che stiamo utilizzando ha sei motori ma se ne vanno fuori uso fino a due, il livello di sicurezza per la componente umana rimane totale. Stiamo comunque valutando anche dei sistemi di gestione anche in caso di avaria come il paracadute.
Al momento il dispositivo è pronto, ma non vola. Perché?
Sì, da un punto di vista tecnico noi siamo pronti. Anche nei giorni scorsi abbiamo fatto dei test tecnici, l’ultimo dei quali in un campo volo nella zona di Pistoia. Stiamo puntando a farci autorizzare, a brevissimo, un volo ‘Pontedera su Pontedera’. Del resto la Valdera è la terra dove siamo nati, con l’Istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna e quindi il primo volo in una zona antropizzata potrebbe svolgersi proprio qui. Siamo in attesa delle autorizzazioni di ENAC (L’Ente nazionale per l’aviazione civile, ndr).
Ci sono esperienze simili in altri Paesi del mondo?
Qualcosa in Svizzera, negli Stati Uniti, in Giappone e in alcune zone dell’Africa. Ma ancora anche in queste realtà non siamo arrivati all’operatività dei droni. Almeno in teoria lo sviluppo e l’applicazione del nostro dispositivo avrebbe un orizzonte mondiale.
Quali sarebbero i vantaggi dell’impiego di ABzero?
Il raggio di azione previsto per il nostro drone rientra in 40 chilometri. Non è un parametro vincolante, si può modificare sulla base delle esigenze senza perdere niente in termini di efficacia e sicurezza. Stiamo valutando l’utilizzo di droni ad ala fissa che hanno autonomia fino a 200 km e oltre. Detto questo il vantaggio sta nel risparmio di tempo. Un risparmio che abbiamo calcolato nell’80 per cento. Con tutto ciò che questo significa in termini di abbattimento di costi, che oggi si attestano in circa 2mila euro per ogni singolo trasporto effettuato con il drone, in termini di costi diretti e indiretti. C’è quindi il dato economico, ma anche quello legato all’aspetto medico – sanitario, di innovazione messa al servizio della società. Noi siamo partiti dal sangue perché questa declinazione medica avrebbe reso più semplice anche affrontare l’aspetto normativo dell’impresa, ma diciamo che le applicazioni di uno strumento come il nostro sono innumerevoli.
Quanto è difficile essere una start up oggi e quanto è difficile far sopravvivere una buona idea quando tempi del mercato e tempi diciamo legislativi e burocratici non coincidono?
All’inizio è difficile. Anche perché spesso ci sono costi di sviluppo elevati e non ci sono ricavi; mentre il personale che lavora nel progetto lo fa in maniera completamente gratuita ispirato dalla curiosità e dall’ambizione di vedere il progetto realizzato. Siamo costantemente in cerca di investitori. Nel nostro caso il ‘salto’ molto importante è stata la vittoria del contest di AXA Italia che ci ha dato l’opportunità, grazie alle 50mila euro di premio, di realizzare il primo prototipo completo e pronto al volo. In prospettiva, invece, partirà un progetto finanziato dalla Regione Molise, nostra terra d’origine, che lo finanzierà al 60 per cento, e stiamo cercando soluzioni per coprire finanziariamente la parte rimanente.
Avete in mente una roadmap ‘commerciale’ dunque? E riguardo all’assetto della startup, come pensate di andare avanti?
Come detto dal punto di vista tecnico siamo pronti. Dopo i test in aree volo il secondo step prevede la prova in ambiente cittadino. Vedremo dove sarà più semplice avere le autorizzazioni, grazie al supporto delle realtà ospedaliere (Pisa, Pontedera) e le associazioni donatori (Fratres) che ci sostengono e che credono nel progetto. Vorremmo essere davvero operativi da gennaio 2019 per poi chiudere i nuovi contratti da settembre – ottobre. Noi siamo un’impresa e puntiamo al fatto che il nostro progetto sia economicamente appetibile per Business Angels e Venture Capital, naturalmente. Ma l’idea è anche quella di fare qualcosa di utile. Riguardo all’assetto della startup, per ora abbiamo scelto di andare avanti in due per essere più snelli ma siamo aperti ad integrare altre figure. La prospettiva però sarebbe quella di crescere. Ma per fare questo ulteriore passo aspettiamo di essere pronti, da tutti i punti di vista.
Siete di origine molisana e il vostro orizzonte commerciale è il mondo. Ma le vostre “basi” oggi sono la Toscana, Pisa, la Valdera. Come si vive da startupper nella nostra Regione?
La Toscana è un buon posto per lavorare. Ci sono delle garanzie che molte volte una startup non ha. E poi ci sono realtà, come il Distretto stesso, come la Fondazione Toscana Life Sciences, che aiutano a creare quell’ecosistema favorevole alla crescita. Il lavoro della Regione Toscana per le life sciences è positivo. Io mi permetto di suggerire, per esempio, che molte volte fornire servizi piuttosto che risorse economiche possa essere più vantaggioso anche per le startup. Ecco questa è una cosa che mi sentirei di suggerire vivendo in concreto l’esperienza di una realtà come la nostra.
A proposito di life sciences. Il prossimo ottobre a Bologna si svolgerà il Meet in Italy for Life Sciences 2018. Conosci questo evento?
Lo conosco e, se avrò modo, parteciperò volentieri. Sono stato ad alcune delle edizioni precedenti, ho conTAGS: ehealth, medical devices, biotech, pharma, articoloblog, biotech&pharma
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