Il futuro delle biostampanti è sempre più toscano con Electro Spider: ‘la macchina ragno’ che riproduce organi e tessuti
17/02/22
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Intrevista a Giovanni Vozzi, docente della Scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa e al Centro di Ricerca 'E. Piaggio'.
Sarà l’alba di una nuova rivoluzione in campo medico. Ma non solo. Electro Spider è soprattutto la grande scommessa vinta dell’Università di Pisa. Si tratta di una biostampante per tessuti e organi, progettata dal Centro di Ricerca “E. Piaggio” che potrebbe aprire nuove strade nel campo della medicina personalizzata e trovare spazio anche nel settore della moda ecosostenibile. Per parlare delle sue applicazioni e degli sviluppi futuri abbiamo intervistato Giovanni Vozzi, docente della Scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa e al Centro di Ricerca 'E. Piaggio'.
Professor Vozzi partiamo da Electro Spider. Di che si tratta? Come funziona?
Electro Spider è chiamata biostampante, è un dispositivo che permette di lavorare materiali diversi su scale diverse, dal nano al centimetro, per riprodurre strutture che mimano la topologia e le proprietà meccaniche e chimiche di tessuti naturali, ossia di strutture composte da cellule che popolano forme tridimensionali di materiali diversi. La macchina si chiama electro spider perché assomiglia a un ragno che tesse la sua tela, le braccia che lavorano i materiali sono proprio a forma di ragno. Si tratta di uno strumento che combina diverse tecniche di lavorazione dei materiali, che sono polimeri biocompatibili, naturali e sintetici, con campi diversi di lavorazione. La caratteristica è soprattutto quella di combinarli in maniera diversa, riuscendo a stampare le cellule per come si trovano nel tessuto.
Quali applicazione prevede nel breve periodo e soprattutto nel futuro?
A lungo termine l’obiettivo è di ricostruire organi e tessuti da trapianto, partendo dalle cellule del paziente stesso o da quelle di consanguinei, in modo da ridurre i tempi di ospedalizzazione e i rischi di rigetto, migliorando quindi la qualità della vita del paziente. Certo ci sono ancora dei problemi nel costruire organi e tessuti grossi, legati anche al fatto che i biologi non hanno ancora scoperto come riuscire a controllare bene la rete vascolare. Su piccola scala, invece, siamo di grado di realizzare strutture di tessuto o pezzi di organo, di 1 cm cubo o di 1 centimetro di altezza e base 1x2, che minimano la funzionalità e che possono essere coltivate nelle normali piastre o in bio-reattori, per andare a testare la terapia sul paziente, quindi personalizzandola, soprattutto in ottica oncologica.
Parliamo, quindi, di una grande sfida di salute: medicina personalizzata. Ma c’è di più?
La macchina permette di avere un tessuto umano del paziente su cui validare il principio attivo e/o il cocktail di terapia che solitamente si somministra in oncologia o nel caso di altre patologie. In questo modo siamo in grado sia di ridurre i costi per il sistema sanitario, che di migliorare la salute del paziente. Il nostro obiettivo è quello di costruire macchine per quelle aziende che intendono ottimizzare o validare i principi attivi di qualunque tipologia. Si tratta di una esigenza già espressa dall’Unione Europa, che ha chiesto di ridurre la sperimentazione animale e di puntare su metodiche alternative capaci di approssimare l’essere umano. Essendo quella che la macchina riproduce una struttura che può essere cellularizzata o che presenta già cellule al suo interno, è sicuramente più prossima all’uomo e quindi in linea con le indicazioni europee. Inoltre l’uso della macchina permetterebbe di ridurre anche i tempi di sperimentazione. Pensiamo per esempio ai vaccini Covid che, grazie all’uso di questi tessuti ingegnerizzati che mimavano il sistema polmonare, potrebbero essere sottoposti a verifiche di efficacia sicuramente più aderenti alle caratteristiche umane. L’altra applicazione è poi la cosmetica. Anche in questo caso si possono testare creme e prodotti non più sull’animale, rendendoli sicuri per l’uomo e meno impattanti per l’ambiente. In futuro, infine, si riciclerebbe tutto ciò che viene scartato e usato come materiale biologico sempre per farci dei test. La macchina poi permette di fornire oltre ai tessuti base anche tessuti customizzati, che ben si adattano alle varie richieste.
In quali mercati avete iniziato a muovervi?
Come Università abbiamo brevettato questa macchina in Europa, America, Cina, Giappone e India e stiamo avendo contatti con diverse aziende. Per esempio, poche settimane fa ci ha contattato anche un’impresa che lavora le pelli di borse e scarpe per i grandi marchi della moda. La nostra macchina, per esempio, potrebbe riparare le pelli e renderle tutte perfette. In questo senso si potrebbe aprire oltre al mercato della salute e della cosmetica anche quello dell’abbigliamento. O anche si potrebbe pensare a un mercato già sviluppato negli Stati Uniti che produce pelle per borse e scarpe partendo dalla biopsia di un bovino, senza sacrificare l’animale. In questo modo si continuerebbe a usare la pelle, ma ottenendola da strutture stampate e senza ricorrere alla macellazione. Un bel risultato anche ben accolto dagli animalisti.
Electro Spider è stata progettata in Italia dal Centro Ricerca di UniPi. Di che si tratta?
La macchina è stata sviluppata dal Centro di Ricerca “E. Piaggio”, un centro di eccellenza dell'Università di Pisa nei settori della bioingegneria e della robotica. Per quanto mi riguarda ho sempre lavorato in ricerca di materiali e tecniche di lavorazione per riprodurre modelli simili ai tessuti umani per studiare il sorgere di patologie o per testate farmaci e nuove terapie. Il gruppo di bio fabbricazione è composto oltre che da me, dal dottor De Maria e da una tecnica di laboratorio, la dr.ssa Montemurro, una assegnista di ricerca e 6 dottorandi. Un gruppo piccolo rispetto a quelli americani, formato da quasi 10 persone, molto produttivo e sicuramente appassionato.
Su quali progetti state lavorate?
Alla macchina abbiamo lavorato in 4 e la usiamo anche per svolgere progetti di ricerca nazionali e internazionali. Per esempio, con un bando di Regione Toscana, stiamo lavorando con i conciatori del territorio per favorire il riciclo e le riparazioni delle pelli, in modo da non scartare o perdere pelli imperfette, ma comunque utilizzabili. Su scala europea, inoltre, siamo impegnati sullo studio di nuove tipologie di protesi bioattive per pazienti che subiscono traumi da osteoporosi. Partono come protesi e si integrano con la struttura ossea e nello stesso tempo curano.
Questo progetto nasce all’interno dell'Università di Pisa. Come è stato possibile favorire la sinergia con aziende come SolidWorld? E secondo lei cosa è ancora necessario per avvicinare la ricerca alla produzione, quindi alle aziende e di conseguenza al mercato?
Diciamo che la collaborazione tra il nostro gruppo di ricerca e l’azienda è stata quasi fortuita. La SolidWorld già si occupa di stampa 3d, ma è rimasta colpita dalla nostra tecnologia. Electro Spider, infatti, produce modelli di tessuti che riproducono la consistenza reale, e quindi il medico può lavorare con maggiore aderenza alla realtà. La SolidWorld, nello specifico, stava cercando nuove ditte e tecnologie e intendeva rivolgersi all’estero. L’incontro con la nostra realtà è stato casuale, perché è nato dalla indagine che ho fatto rispetto al lavoro di tesi di una mia studentessa. Proprio per scongiurare l’elemento casualità, credo che, per avvicinare sempre di più il mondo della ricerca a quella delle aziende, sia necessario il potenziamento delle forme e degli strumenti di comunicazione. Pensiamo per esempio al potere che un blog, un sito o un database potrebbero avere nel mettere in collegamento il ricercatore con le imprese. L’interconnessione e le opportunità di incontro sono fondamentali per approfondire esigenze e costruire network. Solo così il mondo della ricerca potrà essere un luogo florido anche per l’impresa.
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