Fagiolo zolfino, cavolo nero e pomodoro costoluto fiorentino. E’ su questi tre prodotti tipici della tavola toscana che sarà condotto il progetto di ricerca IDARA - acronimo che sta per “Inibitori differenziali dell’aldoso reduttasi negli alimenti” - risultato tra i quattordici vincitori del Bando nutraceutica della Regione Toscana. L’obbiettivo? individuare nelle tre specie vegetali delle molecole utilizzabili per prevenire o attenuare le complicanze del diabete. Il come ce lo spiega il coordinatore e responsabile scientifico di IDARA, il Prof. Umberto Mura del Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa. A lui abbiamo chiesto come è nato e si svilupperà un progetto di ricerca biennale che mette in campo una squadra composita: due dipartimenti universitari, due imprese del settore farmaceutico, due aziende agricole toscane. Il protagonista del progetto, però, non lo abbiamo ancora citato ed è un enzima, l’aldoso reduttasi.
Prof. Mura, da dove siete partiti per definire il vostro progetto di ricerca?
Il nostro gruppo di ricerca, come centinaia di altri laboratori nelmondo, studia da oltre 20 anni le caratteristiche e le proprietà funzionali dell’aldoso reduttasi (AR), ma solo recentemente ci siamo focalizzati su aspetti più applicativi. L’AR è un enzima fuori dall’ordinario per la sua capacità di riconoscere e trasformare molecole molto diverse tra loro pur mantenendo all’interno di ciascuna classe di esse caratteristiche di specificità. Insomma, un enzima aspecifico ma non permissivo, che nonostante il passare del tempo non ha mai smesso di sorprenderci. Una di queste molecole è il glucosio, che viene convertitio in sorbitolo e il cui accumulo in condizioni di iperglicemia è concausa dell’insorgenza delle complicanze del diabete. Da qui si è sviluppato, a livello internazionale, un enorme sforzo di ricerca per trovare inibitori dell'enzima di grande potenza.
Quella con il glucosio, però, non è l’unica reazione catalizzata dall’enzima AR.
Questo enzima è anche in grado, meglio di quanto non faccia sul glucosio, di ridurre dei composti (aldeidi) citotossici (quindi dannosi per l’organismo, in quanto in grado di indurre processi ossidativi che nei soggetti diabetici risultano amplificati), trasformandoli in molecole meno dannose. Se inibiamo l’AR, quindi, da una parte si ottiene un effetto positivo perché viene bloccata l'azione catalitica sul glucosio, ma dall’altra si crea uno svantaggio, perché vengono bloccate anche le azioni di detossificazione. Da ciò deriva il fatto che, pur avendo individuato numerosi efficaci inibitori dell’enzima, si osserva uno scarso risultato nello sviluppo di farmaci contro le complicanze del diabete. Per questo abbiamo pensato di cambiare approccio, cercando inibitori magari meno potenti, ma più discriminanti tra i due fenomeni. Questi sono gli “inibitori differenziali”.
Cosa c’entra la ricerca degli inibitori dell’enzima con fagiolo zolfino, cavolo nero e pomodori?
Le specie e varietà vegetali che abbiamo selezionato si prestano bene per la ricerca di molecole, anche complesse dal punto di vista biosintetico, che possono avere potenzialità di inibizione differenziale. Il nostro obiettivo è di andare a individuare tra le molecole presenti nelle tre specie, quelle che potrebbero agire selettivamente sulla conversione del glucosio, lasciando inalterati i meccanismi detossificanti propri dell’AR. Abbiamo già evidenza scientifica che nel mondo vegetale ci sono inibitori di AR, ma non sappiamo se possono agire in modo differenziale. L’indagine sperimentale che abbiamo proposto vuole andare a verificarlo.
Come sarà condotta la sperimentazione?
Il progetto prevede diverse fasi. Semplificando al massimo il processo potremmo descriverlo così: per prima cosa andremo a estrarre dai nostri tre prodotti le molecole che verranno isolate a un certo grado di purezza generando i campioni da sottoporre ad indagine. Le molecole verranno quindi testate seguendo un protocollo già definito, su preparati dell’enzima umano ricombinante, isolato e purificato. Infine, passeremo alle colture cellulari sottoposte a stress, per andare a valutare le potenzialità inibitoria di azione sia a livello macroscopico di danno cellulare, che di risposta infiammatoria.
Se questa potenzialità venisse confermata quali potrebbero essere gli sviluppi? Possiamo, cioè, immaginare farmaci o integratori a base di molecole estratte da fagiolo zolfino o cavolo nero?
Ovviamente non sappiamo a quali risultati potremo arrivare, altrimenti non saremmo di fronte a un vero progetto di ricerca. L’obbiettivo però è chiaro: individuare molecole che potrebbero essere utilizzate direttamente, o come leads, per lo sviluppo di farmaci di origine naturale in grado di prevenire o attenuare le complicanze del diabete, prevedere quali potrebbero essere i possibili benefici derivanti dall’introduzione dei tre prodotti nella dieta calibrata di pazienti diabetici, e ancora, individuare una nuova classe di componenti di integratori particolarmente adatti a soggetti affetti da diabete.
Il vostro progetto, quindi, oltre alla valorizzazione dei prodotti agroalimentari e dei relativi territori di coltivazione, poterebbe rappresentare anche un’opportunità commerciale?
Se l’attività inibitoria differenziale di questa classe di molecole venisse dimostrata si aprirebbero davvero tantissime opportunità. La ricerca sull’aldoso reduttasi troverebbe una svolta significativa; daremmo una risposta ai pazienti diabetici, aiutandoli a contrastare le complicanze della malattia; tre prodotti tipici della nostra regione potrebbero trovare nuova valorizzazione, con relativo vantaggio per le aziende produttrici e per l’industria degli integratori e dei nutraceutici, che potrebbe metterne a frutto le potenzialità. E’ anche in questa sinergia tra ricerca, produttore e trasformatore che vedo una opportunità. Così come è stato costruito, il bando della Regione ci impegna in un dialogo che va percorso per raggiungere un risultato soddisfacente per tutta la filiera. I due produttori coinvolti stanno mostrando grande disponibilità ed entusiasmo, mi auguro che le loro aspettative possano essere soddisfatte, così come quelle dei partner di impresa, fondamentali per il loro know how in diverse fasi del progetto.
Chi sono i componenti della “squadra”?
Per quanto riguarda lo staff universitario, sono coinvolti dei biochimici ed un fisiologo vegetale del Dipartimento di Biologia e dei chimici farmaceutici del Dipartimento di Farmacia. Gli altri quattro soggetti partecipanti al progetto sono le l’azienda farmaceutiche pisane Galileo Research e Laboratori Baldacci, imprese focalizzate sullo sviluppo di farmaci ma anche di cibi funzionali e prodotti nutraceutici, e le aziende agricole “Mario Agostinelli”, produttrice del Fagiolo Zolfino del Pratomagno, e “Le Prata”, per cavolo nero e pomodoro costoluto.
Con Expo alle porte una domanda è d’obbligo. Che opportunità vede nel più grande evento mai realizzato sui temi dell’alimentazione e della nutrizione?
Expo può essere cruciale per fare il salto su tutta una serie di temi inerenti l’universo delle innovazioni sostenibili, ma è innegabile che sia anche un grande evento vetrina. Ecco, se restasse solo quello sarebbe un’enorme occasione persa. In questo senso, l’iniziativa della Regione Toscana, attraverso il bando nutraceutica, dà sostanza e gambe a progetti che potrebbero produrre frutti che vanno al di là dell’Expo.
Cosa si aspetta/vorrebbe dalla Regione o comunque da finanziatori pubblici a sostegno della ricerca?
Il bando nutraceutica ha saputo rispondere alle nostre aspettative e, nel caso specifico, ci ha dato la possibilità di riprend
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