Del dispositivo esiste già un primo prototipo, sviluppato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, soggetto capofila del partenariato che vede coinvolti anche l’INSTM, il Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali, e il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa. Insieme e con il supporto di tre aziende del territorio stanno lavorando al progetto Robo-Implant, finanziato con circa1,3 milioni di euro dalla Regione Toscana sul Bando Fas Salute. Del dispositivo, delle sue componenti e delle ricadute lato paziente e lato sistema sanitario ne abbiamo parlato con la professoressa Arianna Menciassi, docente di robotica biomedica, e con Leonardo Ricotti, ricercatore sempre presso l’Istituto di BioRobotica del Sant’Anna.
Parliamo di un progetto molto focalizzato, con una solida base tecnologica e, purtroppo, un numero elevato di potenziali beneficiari.
Il dispositivo che vorremmo sviluppare è finalizzato al trattamento di pazienti che hanno necessità, per la natura cronica delle patologie da cui sono affetti, di assumere quotidianamente farmaci. Ci riferiamo a persone con disfunzioni ormonali - principalmente diabetici, ma anche pazienti ipotiroidei, colpiti da deficit ormonali o dell’ipofisi - e affetti da dolore cronico. Grazie al dispositivo che stiamo sviluppando, potremmo garantire una somministrazione automatica del farmaco attraverso un metodo innovativo e del tutto fisiologico, che libera il paziente dall’obbligo di porre un’attenzione costante alla propria terapia. Questa infatti consiste ad oggi in misurazioni ripetute della glicemia e conseguenti iniezioni di insulina nell’arco della giornata. Le ricadute sul sistema sanitario sono evidenti, basti pensare che nella sola Toscana ci sono oltre 150 mila persone affette da diabete e che il 7% circa dell’intera spesa sanitaria nazionale viene destinato all’assistenza di soggetti diabetici.
Esistono già dispositivi di questo tipo sul mercato?
Esistono attualmente dei pancreas artificiali, ma la maggior parte di questi dispositivi sono esterni e limitano notevolmente la vita del paziente. Ci sono poi alcuni sistemi impiantabili, non tantissimi in realtà, ma hanno tutti evidenziato dei problemi. Il primo è la ricarica del farmaco: il serbatoio che contiene insulina (nel caso di pazienti diabetici, ndr), e da cui il farmaco viene rilasciato, va riempito periodicamente. L’altro problema riguarda la batteria. Come conseguenza, la manutenzione (ricarica di farmaco o di batteria) di questi dispositivi richiede re-interventi chirurgici molto frequenti, fino a una volta al mese circa: una limitazione che rende tali sistemi decisamente non accettabili per il paziente.
Vediamo allora cos’ha di innovativo il vostro dispositivo e proviamo a descriverlo
I sistemi di ricarica per l’insulina e per la batteria sono i due elementi che fanno la differenza. Stiamo cercando di realizzare un dispositivo che possa essere totalmente impiantabile e sia in grado di ripristinare tutte le funzionalità del pancreas naturale, liberando il paziente diabetico della schiavitù dell’iniezione, oltre ad offrirgli un trattamento più fisiologico grazie al monitoraggio costante dei parametri glicemici e alla relativa somministrazione in tempo reale e in sito fisiologico. Il dispositivo sarà grande poco meno di un’arancia, comprese tutte le componenti elettroniche ‘a bordo’. L’inserimento avviene chirurgicamente, ma una volta impiantato nella sede ottimale non ci sarà più bisogno di intervenire.
Come riuscite a ovviare ai limiti di ricarica del farmaco e della batteria?
La gestione del dispositivo sarà possibile grazie a meccanismi intelligenti di ricarica e di manutenzione. L’insulina arriva nel serbatoio attraverso una capsula dotata di sensori che verrà ingerita dal paziente: la capsula scende in modo passivo lungo il tratto digerente, viene riconosciuta dal dispositivo con cui si interfaccia e consente il rilascio del farmaco nel serbatoio, da cui il farmaco uscirà poi lentamente nel tempo in base ai bisogni del paziente. Per quanto riguarda la batteria, abbiamo pensato a un meccanismo di ricarica wireless; di fatto è una trasmissione di energia dall’esterno all’interno del corpo del paziente senza dover sostituire la batteria in modo invasivo.
Ogni innovazione parte da un problema da risolvere, un contesto sfidante, un punto di vista nuovo. Qual è stato il vostro input?
Come Istituto di BioRobotica avevamo già un brevetto di partenza sul sistema alla base della “capsula intelligente per ricarica”: si tratta di un vettore di trasporto che possiamo ‘riempire di qualcosa’ - l’insulina in questo caso, ma potrebbero anche essere altri farmaci - e che è capace di trasmettere la sua posizione a un aggancio magnetico integrato al serbatoio. Quindi in realtà è il dispositivo ad essere intelligente, perché è questo che riconosce la capsula.
E qui entra in gioco anche il gruppo dei chirurghi.
Sta a loro individuare la procedura chirurgica migliore per ottenere la massima efficacia dell’impianto e far sì che il dispositivo possa ben interfacciarsi con il tubo digerente attraverso l’aggancio magnetico che riconosce e “cattura” la capsula. L’impianto del dispositivo è la fase più complessa, sia per quanto riguarda il lavoro propedeutico finalizzato a testare la biocompatibilità dei materiali da utilizzare per il rivestimento esterno, sia nella definizione della procedura e della zona di impianto, perché ovviamente il dispositivo deve rimanere ben ancorato. Su questi aspetti siamo supportati dal team chirurgico dell’Università di Pisa (Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia) che implementerà la procedura a livello preclinico e metterà a disposizione una serie di dati fondamentali per tutto il progetto nel suo complesso.
A che punto siete?
Il progetto e le attività sperimentali devono iniziare, ma come dicevamo abbiamo già un primo prototipo realizzato nell’ambito della tesi di Laurea di Veronica Iacovacci, dottoranda presso il nostro Istituto. Inizieremo con l’ingegnerizzazione competa del dispositivo e poi con la messa a punto di tutte le componenti accessorie: batteria, interfaccia di controllo utente e capsula intelligente. Una volta realizzato, andremo a impiantarlo in vivo. I chirurghi attiveranno uno studio pilota per la sperimentazione su animale per verificare la possibilità di passare alla validazione completa.
Come e quando vengono coinvolte le aziende?
A questo proposito crediamo giusto sottolineare che la presenza delle aziende prevista da bando è, per loro, a beneficio economico zero, per cui la loro partecipazione nel partenariato dimostra la bontà dell’idea. Se ci sono significa che ci vedono un interesse, che siano opportunità sul dispositivo finale o magari anche soltanto acquisizione di competenze e creazione di network. Le imprese coinvolte sono tre: Archa, con sede a Pisa, che si occupa di biomateriali e che darà supporto a INSTM per lo sviluppo dell’involucro esterno e per l’interno del serbatoio che deve garantire caratteristiche di stabilità (l’insulina o altro farmaco non deve modificar
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