I robot al servizio della fisioterapia
19/12/17
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Intervista a Stefano Mazzoleni, della Scuola Superiore Sant'Anna, che ci parla del futuro dei robot nei percorsi di riabilitazione
Robot fisioterapisti? No, robot al servizio dei fisioterapisti per la riabilitazione di pazienti affetti da malattie neurologiche. All’Istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna, nel polo di Pontedera, la ricerca di gruppo diventa speranza e migliora la qualità della vita. “A cosa servono i nostri robot? Ad agevolare il recupero degli arti e ad aiutare le persone nel processo riabilitativo che avviene negli ospedali”, spiega Stefano Mazzoleni, il 46enne ricercatore milanese che, pochi mesi prima della laurea in ingegneria informatica, cooptato dalla Sant’Anna per la nuova area di ricerca di fisiologia dell’invecchiamento, si specializza in questo settore ed è oggi il responsabile per l’Europa del Technical committee on Rehabilitation and Assistive Robotics dell’IEEE. Mazzoleni crede nel lavoro di squadra e nella contaminazione fra diverse competenze: “Collaboriamo con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, con l’Ospedale Versilia a Lido di Camaiore, e abbiamo un nostro laboratorio all’ospedale di Volterra: in queste tre realtà – spiega – abbiamo una presenza costante e quotidiana. L’errore in cui spesso sono caduti i bioingegneri in passato è stato quello di una mancata collaborazione con lo staff clinico sin dalla fase di progettazione. Esse invece vanno costruite insieme ai medici. I maggiori risultati che abbiamo ottenuto sono nati a partire dalle attività di ricerca svolte all'interno dei laboratori congiunti”.
Per quale tipo di pazienti sono utili i robot riabilitativi e, soprattutto, aiutano davvero in un reale recupero?
Per tutti quelli che a causa di malattie neurologiche come ictus o sclerosi multipla, oppure per lesioni midollari causate da traumi, cadute o malattie, hanno perso l’uso parziale o totale dalla mobilità. Quindici anni fa è stato dimostrato che anche chi ha avuto un ictus da almeno un anno è in grado di recuperare una parte delle abilità motorie; prima di allora, si pensava invece che non ci fossero più margini. Per noi, invece, esiste la reale speranza di contribuire al recupero motorio, anche a distanza di tempo dall'evento acuto.
Non bastano le terapie ospedaliere?
Diciamo che i robot aiutano ad accorciare i tempi, perché bisogna operare una riabilitazione precoce, mirata e personalizzata. In ospedale il tempo a disposizione è limitato ed è necessario ottimizzare le risorse disponibili. Inoltre dobbiamo affrontare un problema importante...
Quale?
Che, tornando a casa, il paziente il più delle volte perde il risultato ottenuto in ospedale. Non tutti possono permettersi di proseguire la riabilitazione, che ha dei costi. Perciò i robot servono per operare un recupero in modo preciso e personalizzato.
Cosa significa recupero di precisione?
Significa che il fisioterapista che usa il robot nella riabilitazione del paziente può gestire in modo mirato la terapia da somministrare, perché ha a disposizione parametri cinematici, cioè misurazioni di intensità, precisione e ripetitibilità dei movimenti e dell’interazione fra paziente e robot.
Quindi i robot non sostituiranno i fisioterapisti?
Guai a pensarlo! I fisioterapisti sono figure chiave nei processi riabilitativi e i robot sono un aiuto di precisione. Perciò noi organizziamo corsi specifici per istruirli nell’uso di queste macchine. L’obiettivo è ottenere una riabilitazione di precisione e personalizzata. Ciò significa poter seguire i pazienti anche da dimessi, per dare loro continuità di cura e ottenere il massimo del recupero.
La terapia robotica è già una realtà?
Certamente. È stata riconosciuta dal Ministero e rientra nei LEA, i livelli essenziali di assistenza. Ciò significa che la robotica entra a tutti gli effetti nei trattamenti comuni e non più sperimentali. E’ un traguardo importante, perché dimostriamo che la ricerca non è staccata dalla realtà.
Qual è il rapporto fra i pazienti e i robot?
Sono molto soddisfatti di usare i robot perché rappresentano uno sprone. Avviene spesso che i pazienti soffrano di ansia o depressione, ebbene, il robot può diventare un alleato e il miglioramento viene percepito.
Come si misura?
Esistono due metodi per misurare il movimento e quindi i progressi dei pazienti. Uno è tradizionale e segue le scale cliniche, avviene cioè a occhio ma il risultato è una misurazione approssimativa; l’altro è invece una valutazione quantitativa, che, attraverso misurazioni robotiche, va al dettaglio. Ecco, l’interazione fra questi due metodi dà luogo a protocolli di misura rivoluzionari, perché dà una visione d’insieme.
A che punto è la robotica nell’ottica del mercato e di quale mercato?
La robotica per la riabilitazione e l’assistenza è una tecnologia matura ed è pronta per lo sfruttamento sul mercato che è fatto da ospedali, cliniche e centri riabilitativi. È vero, i costi per i singoli sono ancora elevati, ma esistono varie forme di utilizzo di queste macchine che possono essere prese in carico dai sistemi sanitari e date in comodato dalle Usl di riferimento. Stiamo ragionando sull’argomento perché vogliamo che questa tecnologia arrivi al più ampio numero di persone. Non per niente il nostro sforzo è rivolto anche ai Paesi in via di sviluppo.
Quanti dei vostri robot hanno raggiunto il mercato?
Bisogna distinguere fra la fase prototipale e quella della costruzione. In commercio c’è Motore, creato per la riabilitazione dell’arto superiore dalla spinoff della Scuola S. Anna Humanware; questo robot è stato validato clinicamente. In collaborazione con il Centro CRM Inail di Volterra abbiamo invece brevettato la carrozzina robotica RISE, un dispositivo per la verticalizzazione e la mobilità per le persone con disabilità gravi.
Nella foto, Stefano Mazzoleni, in occasione della presentazione del progetto Rise (Robotic innovation for standing and enabling), presso l'auditorium Direzione centrale organizzazione digitale Inail
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