Fagoterapia LAB: la prima startup italiana che usa i virus ‘buoni’ contro i batteri antibioticoresistenti
29/06/22
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Intervista a Mariagrazia Di Luca, microbiologa del Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e Co-Founder di Fagoterapia LAB
Sono i fantastici quattro della fagoterapia italiana. Sono il ‘dream team’, tutto made in Italy, di Fagoterapia LAB, la prima start up biotech italiana che lavora nel campo della ricerca, sviluppo e commercializzazione della terapia basata sui batteriofagi (fagi) e sui loro derivati, per combattere la sfida globale dell’antibiotico-resistenza. Per parlare meglio dell'uso terapeutico dei batteriofagi nel trattamento delle infezioni causate da batteri patogeni abbiamo intervistato Mariagrazia Di Luca, microbiologa del Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e Co-Founder di Fagoterapia LAB insieme a Novella Cesta, medico infettivologo e dottoranda dell’Università Roma Tor Vergata; Giuseppe Maccari, virologo e bioinformatico, ricercatore al TLS e Stefano Cheli, manager di una società internazionale di consulenza.
Partiamo dalla storia di Fagoterapia LAB. Chi siete? Di cosa vi occupate?
Fagoterapia LAB è una startup innovativa stata costituita formalmente lo scorso anno, nel giugno del 2021, ma è un progetto che nasce durante una mia precedente esperienza lavorativa a Berlino, dove sono venuta a contatto con questa terapia che si basa sull’applicazione di virus chiamati batteriofagi I batteriofagi sono virus buoni, innocui per l’uomo. A Berlino ho avuto l’occasione sia di studiarli che di vedere pazienti trattati all’interno del gruppo di ricerca multidisciplinare, composto da biologi e da medici infettivologi, in cui lavoravo. Qui ho conosciuto Novella Cesta, medico infettivologo italiano, attualmente Co-Founder di Fagoterapia LAB, con cui ho avuto modo di condividere la volontà di portare la fagoterapia in Italia, come trattamento per i pazienti con infezioni difficili. Rientrata in Italia, oggi sono ricercatrice presso l’Università di Pisa ed ho scelto di portare in Toscana questa attività di ricerca. Qualche tempo prima, durante un incontro al Ministero della Salute, inoltre, insieme a Novella Cesta è maturata l’idea di lavorare al progetto della fagoterapia anche dal punto di vista imprenditoriale. È così che il team è cresciuto e a noi si sono uniti due altri co-founder: Giuseppe Maccari, virologo e bioinformatico con cui abbiamo sviluppato un algoritmo predittivo e, infine, Stefano Cheli, manager che si occupa di tutti gli aspetti economico finanziari e gestionali dell’azienda.
Andando nello specifico sulla terapia basata sui batteriofagi, di che cosa si tratta? Può inquadrarci i vantaggi dell’impiego dei batteriofagi rispetto agli antibiotici tradizionali?
I fagi sono microorganismi presenti in natura che possono essere personalizzati sul singolo paziente. La batteriofagia, oggi ampiamente in uso nei paesi dell'ex Unione Sovietica, è una delle strategie alternative agli antibiotici. Oggi sappiamo tutti che l’antibiotico resistenza è una pandemia silente: nel 2019 sono stati stimati circa 1,3 milioni di morti a livello globale e in Europa ci sono 700 mila infezioni antibiotico resistenti ogni anno. Purtroppo, ci sono poche strategie a disposizione e la batteriofagoterapia risulta una delle più promettenti anche come adiuvante della terapia antibiotica standard. Non si tratta di una terapia completamente nuova, perché le sue origini risalgono al 1915-1917 e fino alla scoperta degli antibiotici e poco dopo è stata utilizzata per la sua attività antimicrobica. Poi è stata abbandonata perché abbiamo vissuto gli anni d’oro dell’antibiotico terapia, finché non si è presentato il problema dell’antibiotico-resistenza. Attualmente sta rinascendo l’interesse per l’impiego della fagoterapia per quei pazienti che non hanno soluzioni. Rispetto agli antibiotici, la fagoterapia ha numerosi vantaggi, al momento quello più importante è che risulta attiva anche contro i batteri resistenti agli antibiotici, permettendo la cura di quei pazienti con infezioni batteriche per le quali non esiste una soluzione terapeutica.
E rispetto al tema dell’antibiotico-resistenza e a quello della medicina di precisione quali sono le vostre strategie?
I fagi rispetto agli antibiotici sono selettivi, vuol dire che riescono a discriminare ed uccidere solo il batterio che causa l’infezione e che vogliamo eliminare senza attaccare il microbioma, e quei batteri utili per il benessere dell’uomo. Se vogliamo sono una sorta di strumento di medicina di precisone che possiamo personalizzare, perché di fatto vado a costruire una formulazione terapeutica ad hoc per quel paziente che ha quella specifica variante di batterio. Lo scopo della nostra startup è quello di mettere a punto farmaci personalizzati e per fare questo abbiamo sviluppato 2 asset strategici: da una parte una biobanca di batteriofagi, una collezione di principi attivi, isolati dall’ambiente e caratterizzati dal punto di vista molecolare, e dall’altra abbiamo sviluppato un algoritmo di intelligenza artificiale predittivo che, in breve tempo, ci permette di individuare, dato un determinato batterio, il fago migliore in grado di distruggerlo. Alla fine, quindi, stiamo sviluppando un processo tecnologico a piattaforma a 5 step: prendiamo il batterio del paziente che causa l’infezione, estraiamo il genoma, lo sequenziamo, diamo input all’algoritmo e il software ci indica quale è il fago migliore dalla nostra biobanca. Dopo questo processo di selezione e individuazione ci occupiamo dello sviluppo preclinico. Per i prossimi 2 anni, infine, abbiamo in programma di mettere a terra la fase di set-up produttivo che rispetti quello che viene richiesto dagli enti regolatori per una produzione in GMP (Good Manufacturing Practice) dei farmaci con tutti i relativi protocolli di sicurezza e qualità. Siamo in una fase iniziale di sviluppo e contiamo di trovare presto finanziamenti che possano permetterci gli sviluppi futuri.
I batteriofagi possono essere utilizzati anche in ambito veterinario o agrifood?
Le applicazioni in veterinaria e in ambito agroalimentare sono altresì possibili. Diciamo che, trattandosi di prodotti naturali, si prestano anche bene per contesti in cui c’è un bio-controllo, come nella riduzione dell’impiego di pesticidi in agricoltura. Un esempio sono gruppi di ricerca negli Stati Uniti che stanno lavorando per individuare dei fagi contro la Xylella, che è un organismo nocivo delle piante, soprattutto olivi e viti. Lo stesso si può applicare in ambito veterinario, sia per animali da compagnia che da allevamento
Negli ultimi due anni si osserva un’attività crescente intorno ai batteriofagi, sia a livello di ricerca che imprenditoriale. Qual è la situazione in Italia dal punto di vista culturale o della conoscenza della terapia, e quali sono gli sviluppi nell’immediato futuro?
In Italia dal punto di vista culturale esiste già una sorta di “turismo medico”: si tratta di situazioni disperate in cui i pazienti si rivolgono all’estero per avere la disponibilità di questi farmaci, soprattutto ai Paesi dell’ex Unione Sovietica. Anche se si tratta di prodotti che non rispecchiano gli standard richiesti dagli enti regolatori occidentali. Il grosso problema è, inoltre, la mancanza di follow-up medici, per cui i pazienti si ritrovano soli. Questo è un rischio, ma ci fa anche vedere che c’è una richiesta. Inoltre, sempre dal punto di vista culturale, vediamo che il paziente non è frenato o restio all’impiego di un virus a scopo terapeutico, e questa è già una cosa positiva. Sempre per saggiare il livello di conoscenza abbiamo lanciato una survey rivolta ai medici e ricevuto più di 2mila risposte, verificando come già esistano sia la percezione della problematica dell’antibiotico resistenza che una buona propensione al tema, visto che più dell’80% dei medici si è detto favorevole all’uso di strategie sperimentali, anche se solo il 30% conosceva già la batteriofagia. Per questa ragione stiamo lavorando per fare formazione, stiamo portando i nostri dati e l’esperienza di Fagoterapia LAB anche nei congressi italiani e ai tavoli europei e ministeriali. Dopo il Covid, in particolare, è cresciuta la sensibilità nei confronti di possibili rischi pandemici e ci auguriamo che questa rinnovata attenzione venga incanalata anche verso la giusta sensibilità da parte delle istituzioni su temi di importanza mondiale, come le strategie per combattere l’antibiotico-resistenza, anche attraverso terapie che combinano gli antibiotici alla batteriofagia.
L’approccio personalizzato nell’impiego dei batteriofagi ha un forte potenziale terapeutico. Ma dal punto di vista regolatorio qual è la situazione a oggi?
L’ultimo impiego dei batteriologi in Italia ed Europa risale intorno agli anni ‘50, poi è stato gradualmente abbandonato in favore dell’antibiotico terapia; pertanto, non vi era la necessità di includerli in un regolatorio moderno. Per mettere a punto dei protocolli è fondamentale il contributo delle istituzioni, per questo stiamo lavorando per portare ai tavoli della farmacopea europea il capitolo sullo sviluppo delle formulazioni di batteriofagi: io sono stata indicata come ad hoc specialist da ISS per lavorare a questo documento presso l’EDQM (European Directorate for the Quality of Medicines) che darà le prime indicazioni su come produrre la fagoterapia, per poi arrivare al vero regolatorio. Inoltre, per verificarne l’efficacia e definire gli ambiti di applicazione per la loro immissione in commercio, saranno fondamentali studi clinici dedicati.
E dal punto di vista imprenditoriale?
Mettere in piedi un progetto imprenditoriale per contribuire a risolvere il problema dell’antibiotico-resistenza è sicuramente molto ambizioso. Come startup biotecnologica abbiamo bisogno di ingenti capitali per sviluppare i nostri farmaci, che speriamo di raccogliere sia in Italia dove al momento siamo i primi a sviluppare questo tipo di terapia, che all’estero. Oltre ai finanziamenti privati, ci aspettiamo di poter accedere anche a investimenti pubblici necessari per lo sviluppodi progetti di ricerca di questo tipo. Credo che sia fondamentale agevolare e promuovere la giusta conoscenza della terapia e delle sue applicazioni. Come è urgente sviluppare strategie contro l’antibiotico-resistenza a livello di sistema, per aiutare i tanti pazienti che, come ho raccontato prima, si procurano da soli i farmaci, senza avere il necessario controllo.
Siete una startup molto giovane ma avete già ottenuto diversi premi e riconoscimenti. Quali sono le principali opportunità che avete trovato fino ad ora nel vostro cammino e quale supporto avete avuto dal Distretto?
In questi 2-3 anni di attività abbiamo avuto l’opportunità di conoscere tante persone e storie di pazienti che ci hanno contattato e che abbiamo anche seguito nella terapia con il nostro medico infettivologo, anche attraverso il nostro network internazionale. Questo ci ha permesso di sviluppare expertise in ambito medico, che in questo momento sono uniche in Italia e di ampliare la nostra rete di conoscenze in ambito scientifico sulla fagoterapia. Oltre al fatto che, avendo partecipato a vari programmi di incubazione in tutto il Paese, abbiamo conseguito competenze in ambito business. Inoltre, siamo stati già contattati da aziende farmaceutiche interessate alla terapia che potrebbero essere dei nostri partner in futuro. Il distretto è stato per noi importate già nella strutturazione della nostra idea imprenditoriale, grazie ad una attività di mentoring e per averci presentato possibili partner ed investitori. Per le possibilità del Distretto e del suo network, sicuramente è fondamentale per noi avere a disposizione una rete di contatti e competenze, penso per esempio alla Fondazione TLS. Interagire con il know-how e gli strumenti del Distretto e della Fondazione TLS è per noi un passo importante nel nostro percorso di crescita e successivamente di sviluppo della terapia, soprattutto perché questo ci permette di rimanere nella nostra regione, dove c’è grande attenzione e una forte tradizione nel campo delle life sciences.
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